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Ezra Collective

SCHEDA ARTISTA

Prima della pandemia, gli Ezra Collective erano in piena attività. Un tour mondiale li attendeva dopo anni di duro lavoro, l’uscita acclamata dalla critica del loro album di debutto del 2019 You Can’t Steal My Joy e un’esplosiva esibizione a Glastonbury che ha portato il jazz britannico a livelli mai visti prima.


La nuova era degli Ezra Collective sarà definita dall’atteso secondo album. Where I’m Meant To Be è una celebrazione martellante della vita, un’elevazione del suono ibrido e sinuoso del Collettivo Ezra e un carattere collettivo raffinato. Le canzoni sposano una fresca sicurezza e una brillante energia. Ricco di conversazioni tra le parti dell’ensemble, prodotto naturale di anni di improvvisazione sul palco, l’album – che vede anche la partecipazione di Sampa The Great, Kojey Radical, Emile Sande e Nao – illuminerà in egual misura le piste da ballo sudate e le cene estive.


Il gruppo – composto da Femi (che è anche batterista dei Gorillaz) come batterista e bandleader, Joe Armon-Jones alle tastiere, James Mollison al sassofono, Ife Ogunjobi alla tromba e il fratello minore di Femi, TJ, al basso – si è originariamente riunito nel 2012 come adolescenti della band giovanile di Tomorrow’s Warriors, un’iniziativa di educazione musicale presso il South Bank Centre di Londra.

Da allora sono diventati artefici di una nuova fase del percorso musicale della loro città, un’epoca ibrida in cui i generi black – jazz, grime, afrobeat e altro ancora – possono intrecciarsi e armonizzarsi fluidamente, a livelli nuovi e sempre crescenti.

Il primo singolo estratto da Where I’m Meant To Be si chiama Victory Dance, un inno pulsante e coinvolgente che sembra destinato a spopolare sui palchi dei festival. Le altre canzoni multigenere dell’album spaziano per tempo e tono dal bop costante del dub reggae, al two-step del funky, al ritmo incalzante della samba – nei loro termini vissuti, come veicoli di guarigione, empatia e comunità.

Per registrare i quattordici brani di Where I’m Meant To Be ci sono voluti diciotto mesi. Questo cambio di marcia, lontano dalle ore e dai giorni spesi per tutte le uscite precedenti, non riflette solo l’impatto della vita in isolamento sulla creazione artistica. È sostenuto dalla pazienza acquisita grazie al rallentamento.